
Il lato più triste della questione è che trovare un medico preparato ad affrontare un disturbo complesso e articolato come la vulvodinia non è così facile. Ad affermarlo con convinzione è Chiara Natale, paziente in primis ma anche attivista che fa parte del gruppo parlamentare sui diritti della persona, nel sottogruppo salute, impegnato ad ottenere il riconoscimento della vulvodinia e della neuropatia del pudendo come patologie invalidanti.
Ma Chiara è anche un’influencer che con il suo profilo @chiara.lapelvi vanta ben 27 mila follower, a testimonianza di quanto le problematiche della zona intima femminile riscontrino interesse tra il pubblico.
A lei abbiamo chiesto di darci indicazioni su come capire se il medico al quale si è deciso di rivolgersi sia quello giusto. Perchè, e questo è un altro punto delicato, le donne che soffrono di vulvodinia spesso si trovano a passare da un ginecologo all’altro alla ricerca, lunga a volte anni e anni, innanzitutto di una diagnosi a cui faccia seguito una strategia di cura che possa dare risultato.
Ecco perchè avere parametri per comprendere come opera il medico che si ha davanti è più che mai importante.
I criteri per valutare il medico giusto
Ascolta con attenzione. Nella stragrande maggioranza dei casi, le donne che soffrono di vulvodinia hanno una storia clinica molto articolata e complessa come dimostrano le loro voluminose cartelle cliniche. È basilare quindi che il medico si metta in una condizione di ascolto, senza fretta e con attenzione, lasciando che la paziente racconti il suo vissuto, in tutti i suoi aspetti.
Tutto ciò non significa che il medico in questa fase debba necessariamente parlare: già il semplice fatto di ascoltare rimanda un feed back positivo alla donna che sente accolta non solo la sua storia, ma anche la sua sofferenza.
Procede a un’accurata anamnesi. Questo punto si ricollega ovviamente al precedente: un medico che non ascolta con pazienza, che non consulta con attenzione la cartella clinica, che non pone domande non può arrivare a inquadrare la situazione.
Le domande, anche le più specifiche, persino le più banali, sono particolarmente importanti non solo per il medico ma anche per la paziente stessa perché aiutano a rivolgere l’attenzione sul proprio corpo. Domande alle quali una donna non riesce immediatamente a rispondere in fase di visita rappresentano infatti un campanello di allarme che può far riflettere su determinati aspetti magari trascurati eppure basilari per trovare soluzioni al disturbo.
Dedica il giusto tempo. Proprio perché la vulvodinia è una problematica molto complessa che si manifesta con un ampio ventaglio di sintomi e si correla spesso con altre patologie, è fondamentale che il professionista dedichi il giusto tempo alla visita.
Un’ora si potrebbe prendere come indicazione della durata minima di un consulto che permetta di sviscerare a pieno il problema. Ma anche una visita di una quarantina di minuti può essere fruttuosa se il professionista sa muoversi nella giusta direzione e ha le competenze necessarie per inquadrare con precisione il disturbo.
Non minimizza e non banalizza. Sono tassativamente da evitare i professionisti che tendono a non dare importanza alla sofferenza della paziente, sostenendo che sia normale oppure suggerendo che lo si possa tranquillamente sopportare.
Altro segnale di scarsa professionalità è l’atteggiamento dei medici che tendono a far sentire in colpa la paziente, non di rado con una certa aggressività, che cercano cause fittizie come lo stress, e propongono soluzioni altrettanto fittizie al problema come quella di lasciare il partner.
Naturalmente è vero che nella genesi della vulvodinia entrano in gioco anche cause che hanno a che fare con la sfera psicologica e sessuale, ma un ginecologo serio dovrebbe sempre rimandare ad altri specialisti per le valutazioni del caso.
Spiega senza calare dall’alto diagnosi e prescrizioni. Il percorso che porta ad alleviare il dolore della vulvodinia è lungo e complesso e coinvolge la donna in prima persona. Questo spiega con chiarezza il perché il professionista a cui dare fiducia dovrebbe essere quello che nel corso della visita parla con la paziente, spiegandole cosa sta succedendo nel suo corpo e quello che potrebbe fare per migliorare la sua condizione.
Diagnosi non condivise e terapie calate dall’alto, senza spiegazione, portano spesso la donna a non iniziare neppure o ad abbandonare un percorso che, proprio perché non scaturito dalla fiducia reciproca, non si percepisce come proprio.
Chiede il consenso alla visita interna. È un passaggio chiave, segno di rispetto nei confronti della donna, che dovrebbe essere fatto sempre e a maggior ragione con una paziente che soffre di vulvodinia e che può provare un dolore tale da impedirle di essere visitata.
In questi casi il ginecologo può procedere con un’ecografia esterna o con una semplice valutazione visiva in attesa che un miglioramento della condizione dolorosa, dopo la messa a punto delle adeguate strategie di intervento, consenta di effettuare l’ispezione interna.
È importante che il medico chieda il consenso alla visita interna anche perché la donna, qualora si sia trovata in imbarazzo o comunque non soddisfatta durante la fase preliminare del colloquio, ha così la possibilità di terminare il consulto senza procedere al controllo interno.
In conclusione
Non è facile trovare un professionista che, oltre ad essere preparato e costantemente aggiornato su una patologia complessa come la vulvodinia, presenti anche la qualità preziosa dell’empatia. Ma si possono comunque trovare medici validi con i quali instaurare un rapporto di fiducia, basilare perché le terapie diano frutto.
L’ultimo consiglio di Chiara Natale: mai avere timori e remore a cambiare medico; se con un professionista non ci si sente in sintonia, per le ragioni più diverse, meglio valutare un altro profilo.