Un approccio corretto al problema della vulvodinia parte dalla consapevolezza e dalla conoscenza del proprio corpo, sin dall’adolescenza. Ne parliamo con la dottoressa Elisabetta Colonese, ginecologa, esperta in Terapia della Sterilità di Coppia a Milano.
Focalizzando l’attenzione sulla vulvodinia, chi sono le donne che arrivano nel suo studio?
Sono donne di tutte le età, con una prevalenza di giovani che chiedono di essere aiutate perché presentano un ampio ventaglio di problematiche che va dal dolore durante i rapporti fino all’impossibilità della penetrazione, dal presentarsi di cistiti ricorrenti a sensazioni di fastidio, anche molto intense, in risposta a stimoli esterni come il contatto con gli indumenti intimi o persino con l’acqua. Tutti sintomi che lo specialista, in base alla visita e alle opportune indagini, può ricondurre a un quadro di vulvodinia, una condizione patologica caratterizzata da una serie di disturbi che possono interessare la vulva, il vestibolo e la vagina e che, provocando una sintomatologia dolorosa cronica, impattano, e non poco, sulla quotidianità.
Le donne sono coscienti del problema?
Nella maggior parte dei casi si rivolgono allo specialista, proprio come è opportuno fare, per riuscire a dare un nome, e di conseguenza trovare una soluzione, al problema che stanno affrontando. Capiscono che c’è qualcosa che non va ma non sanno di cosa si tratti: a volte pensano di avere un’infezione vaginale magari ricorrente ma ci sono donne che non hanno neppure ben chiaro di avere un problema in atto. Solo alcune parlano di vulvodinia e questo grazie al fatto che il problema trova oggi maggior attenzione anche per merito, bisogna prenderne atto, dei social. Ciò non toglie comunque che, nonostante la diffusione più ampia delle informazioni, permanga un retaggio culturale maschilista che accusa la donna di avere una bassa soglia del dolore, di “fingere” o comunque di ingigantire problematiche come quella della vulvodinia o dell’endometriosi liquidandole come disturbi di poco conto, se non addirittura inesistenti. Non a caso la vulvodinia resta ad oggi una patologia che riceve spesso una diagnosi molto in ritardo e un trattamento non adeguato.
Come si arriva quindi a diagnosticare la vulvodinia?
La diagnosi di vulvodinia si costruisce sulla base dello storico e della visita. Come detto sopra occorre innanzitutto escludere, attraverso un tampone vaginale o cervicale, la presenza di un patogeno che può essere responsabile di vaginiti ricorrenti. Può capitare infatti che vaginiti sottostimate o mal curate, magari con il fai-da-te come a volte succede, determinino una condizione di infiammazione cronica con sintomi che possono essere sovrapponibili a quelli della vulvodinia. In ogni caso è sempre bene tener conto del fatto che ogni donna è un caso a sé: la diagnosi nasce da uno studio attento della condizione così come del resto il percorso di cura necessita di essere costruito su misura, pena il rischio che non dia frutto.
Le soluzioni al problema comunque ci sono?
Certo, ed è per questo che le donne non devono mai scoraggiarsi sia pur nella consapevolezza che il percorso da affrontare spesso è lungo, complesso e articolato. Torna il discorso che non esistono ricette preconfezionate, strategie di intervento che possano servire universalmente. Ogni donna è unica, ogni caso è unico come unica è la strada che si deve intraprendere per raggiungere l’obiettivo desiderato. Che per la maggior parte delle donne è rappresentato dal non avere più dolore e dal ritrovare una condizione di vita più serena. Può essere un successo tornare ad avere rapporti senza soffrire ma anche riprendere a fare sport, scegliere cosa indossare senza che un pantalone faccia soffrire. In alcuni casi poi gli obiettivi si fanno più mirati come per le donne che desiderano un figlio.
Esiste quindi un rapporto tra vulvodinia e infertilità?
Il discorso è molto semplice: provare dolore ai rapporti impedisce o comunque limita la possibilità di restare incinta. Ecco perché in queste situazioni si può concentrare l’attenzione sulla cura della dispareunia oppure si può prendere in considerazione l’ipotesi di ricorrere a tecniche di fecondazione assistita. Fermo restando in ogni caso che l’obiettivo finale, insieme a quello di una gravidanza, rimane il miglioramento in toto delle condizioni di vita.
Ultimi consigli che vorrebbe lasciare alle donne…
Innanzitutto, quello di rivolgersi sempre con fiducia e serenità al ginecologo per avere un quadro chiaro della situazione e procedere con gli opportuni controlli. Vorrei poi fare un appello ai genitori: a loro spetta il compito fondamentale di insegnare alle figlie l’importanza della prevenzione. Sottoporsi già nell’adolescenza alla visita ginecologica, e continuare a farlo con regolarità seguendo l’iter di controlli indicato dallo specialista, aiuta ad avere una miglior consapevolezza del proprio corpo. E una donna consapevole è in grado di accorgersi subito quando qualcosa non funziona e di rivolgersi tempestivamente allo specialista per trovare un adeguato percorso di cura.