Che cos’è la vulvodinia

Vulvodinia: che cosa è?

È un dolore vulvare sempre presente, che può essere spontaneo o provocato da un semplice contatto. Impedisce anche le più banali azioni quotidiane: indossare un paio di pantaloni, accavallare le gambe, andare in bicicletta, stare seduta a lungo nella stessa posizione. La vulvodinia non è solo un disturbo intimo transitorio, ma è una malattia a tutti gli effetti, eppure ancora oggi non è sempre facile identificarla e aiutare le donne che ne soffrono. C’è chi ancora la considera un male immaginario, psicologico, oppure la liquida come un disturbo passeggero, frutto dello stress, di un’infezione o di problemi sessuali irrisolti.

La vulvodinia è una malattia

La vulvodinia è una sindrome dolorosa cronica che comporta l’attivazione delle terminazioni nervose dolorifiche dell’area vulvare fino all’introito vaginale, che in alcuni casi si estende alla zona anale e perianale. «È una malattia caratterizzata da un unico sintomo: il dolore cronico, costante o ricorrente, localizzato all’intera vulva o solo a porzioni di essa, che può andare dal senso di puntura, al bruciore, di un’intensità che può variare nel corso della giornata, oppure di giorni, settimane o mesi», spiega Barbara Gardella, professore associato di Ostetricia e ginecologia dell’Università di Pavia e responsabile dell’ambulatorio di Patologia vulvare della Clinica Ostetrica Ginecologica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. «Il dolore dovuto alla vulvodinia può essere spontaneo (quasi sempre presente, anche in assenza di stimolazioni) o provocato (scatenato da un contatto fisico di tipo sessuale, oppure dall’inserzione di tamponi, toccamento, frizioni ecc.). Essendo una malattia cronica, può alternare fasi di remissione dei sintomi ad altre di riacutizzazione, magari in seguito a eventi particolari come un trauma o un periodo di stress», prosegue l’esperta. «Non è ancora stato chiarito con certezza il meccanismo che porta un normale stimolo doloroso, sperimentato da tutte le donne nel corso della vita, a cronicizzarsi. Per questo, attualmente, la cura dela vulvodiania è solo volta a eliminare il dolore, ma non è ancora eziologica».

Cosa sappiamo finora

«Sebbene l’esistenza di una sindrome dolorosa vulvare senza riscontro di segni clinici visibili venga citata per la prima volta nella letteratura medica già nel 1880, il riconoscimento ufficiale è avvenuto solo un secolo dopo, nel 1970, quando la vulvodinia viene definita per la prima volta come un disturbo vulvare che si presenta in assenza di segni clinici visibili rilevanti o di una specifica, clinicamente identificabile, alterazione neurologica», racconta la specialista. «Con il tempo, è stato chiarito che non si tratta di un’infezione (infatti l’uso del sinonimo vestibolite, di chiara matrice infettiva, è stato abbandonato da decenni), né di una malattia sessualmente trasmessa, né di un’allergia o di un disturbo del sistema immunitario. La vulvoinia rientra piuttosto nelle allodinie. L’allodinia è la percezione dolorosa evocata da uno stimolo non doloroso: in pratica, le terminazioni nervose periferiche rispondono in modo eccessivo a stimoli di per sé innocui, scatenando un forte dolore. Quando questo succede a livello della vulva, parliamo di vulvodinia. Ecco perché il dolore vulvare è sì un problema organico, ma con una forte implicazione e ricaduta psicologica e neuro-sensoriale».

Tante facce dello stesso disturbo

La vulvodinia è difficile da inquadrare anche perché è un disturbo sfaccettato, che può presentarsi in modo diverso da donna a donna. Può essere generalizzata, quando il dolore coinvolge gran parte o l’intera vulva (grandi labbra, piccole labbra e vestibolo vaginale, a volte anche perineo e regione anale) o localizzata, quando è colpita solo una porzione vulvare: il vestibolo, l’ingresso della vulva (allora si parla di vestibolodinia), il clitoride (clitoridodinia) o l’uretra (uretrodinia). Il 90% dei casi di vulvodinia sono delle vestibolodinie: le donne riportano dolore o bruciore soprattutto superficiale, simili alla sensazione di tagli o spilli, specialmente durante i rapporti sessuali penetrativi ma anche nell’indossare pantaloni attillati, nell’infilare tamponi o nel praticare alcuni sport come spinning, ciclismo, equitazione. La sigla PVD sta per “Provoked Vestibulodynia Disease” ovvero vestibulodinia provocata, che è la forma più frequente, e descrive un dolore superficiale nell’area vestibolare provocato da una sollecitazione meccanica: un rapporto sessuale o un indumento. È spesso legata alla dispareunia, il dolore legato al rapporto sessuale: si manifesta al momento della penetrazione e ha un’insorgenza immediata e legata al movimento. La percezione può essere di bruciore, abrasione, taglio o lacerazione di intensità variabile, a volte così elevata da impedire i rapporti (le donne riportano spesso la sensazione di una coltellata).

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