Chiara Natale e la vulvodinia: “Con i social aiuto le donne a non sentirsi sole”

Su Instagram è @chiara.lapelvi ed è seguita da 27 mila persone: Chiara Natale è una attivista e content creator che con il suo profilo cerca di sostenere le persone affette da questa malattia.

I primi sintomi della vulvodinia sono comparsi nel 2006, la diagnosi è arrivata nel 2019. Il suo calvario, tra dolori inspiegabili e diagnosi lumaca, è quello di tantissime donne, con cui Chiara ha deciso di condividere la sua esperienza. «Nel 2017 avevo dolori ormai cronicizzati, che non miglioravano mai», racconta. «Passavo le nottate a cercare informazioni e a digitare i miei sintomi su internet. Così ho scoperto l’esistenza della vulvodinia: mi ci rivedevo, finalmente. Per me è stato liberatorio: potevo finalmente dare un nome a ciò che sentivo».chiara natale

Vulvodinia: più di quattro anni per la diagnosi

Quella di Chiara Natale non è una situazione inusuale. Oggi il ritardo diagnostico è di circa quattro anni e mezzo, tra comparsa dei sintomi e identificazione della malattia. Perché è ancora così difficile capire che si tratta di vulvodinia? «Bella domanda! Direi per una serie di cause. La vulvodinia non viene studiata all’università, ma solo accennata. La diagnosi è complessa, come del resto lo è la malattia: richiede molto studio. Non sono purtroppo molti i medici che, una volta specializzati, decidono di studiarla. Risultato? A oggi ci sono pochi professionisti in Italia che sappiano diagnosticarla e curarla».

Anche per questo, la vulvodinia resta una malattia-fantasma. E curarsi è un lusso per pochi. «Non è una patologia riconosciuta dallo Stato italiano, quindi di fatto chi ne soffre non esiste», prosegue Chiara. «Tutte le spese sono a carico delle donne: medicine, integratori, visite, fisioterapia, creme. Spesso non si trovano professionisti con il Sistema sanitario nazionale, quindi la maggior parte si cura privatamente. Tante smettono di curarsi proprio per gli alti costi».

La vulvodinia e il tabù della sessualità

È anche un problema di mentalità? La salute sessuale, insomma, è ancora un tabù? «Per certi versi purtroppo sì», risponde Chiara Natale. «Quasi mai, quando vai dal ginecologo, ti viene chiesto come vanno i rapporti sessuali… Un aspetto tanto importante della salute di una persona viene ignorato, spesso addirittura banalizzato. Non si ha idea delle forme di violenza medica che possono scatenarsi: essere perse in giro, spinte dal personale medico ad avere rapporti perché altrimenti “il compagno se ne va”, oppure spronate ad avere una gravidanza… (Spoiler: la gravidanza non è una cura, anzi spesso i dolori post parto peggiorano!). Viviamo ancora in una cultura patriarcale, dove il corpo della donna è visto come un oggetto o un contenitore».

Per chi ne soffre, e non ha le cure adeguate, non è facile convivere con un dolore che non abbandona mai, ma non si riesce a spiegare. «L’impatto sulle attività quotidiane può essere devastante: la posizione seduta peggiora i sintomi o gli sforzi fisici», conferma l’attivista. «La vita sessuale pure è compromessa, essendo una patologia legata al dolore genitale. Questo si ripercuote anche sulla vita di coppia. Le energie scarseggiano perché il dolore se le mangia tutte. Si cercano disperatamente indumenti che non peggiorino il problema, e così via».

Il potere della condivisione

Da qui l’idea di aprire un profilo social: bisogna parlarne di più. Sensibilizzare l’opinione pubblica e aumentare il livello di consapevolezza di questa malattia. «L’obiettivo principale era, ed è ancora, evitare che tante persone affette dai miei stessi dolori subissero un analogo percorso lungo e difficile. Le donne che hanno deciso di condividere le proprie storie hanno salvato chi era ancora nel limbo della diagnosi, costrette a soffrire l’indicibile».

La condivisione ha il potere di far sentire meno sole le persone. «Sì, è uno strumento potentissimo. Sul mio profilo arrivano ogni giorno tantissime persone alla ricerca di una risposta ai propri dolori oppure malate da tempo, che cercano un posto sicuro dove sfogarsi senza sentirsi diverse o giudicate», racconta Chiara.

«Faccio parte dell’intergruppo parlamentare per i Diritti Fondamentali della persona, nel sottogruppo Salute, per il riconoscimento della Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo come malattie croniche e invalidanti. Lo scopo è il riconoscimento di queste due patologie da parte del Sistema sanitario nazionale e del loro inserimento nei LEA (Livelli essenziali di assistenza). Ci battiamo per il diritto alla salute, che nel nostro caso ci viene costantemente negato».

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