La psicoterapia: un sostegno fondamentale

Barbara FunaroLa mente di una donna affetta da vulvodinia è affollata di pensieri negativi, auto-distruttivi: inadeguatezza, fragilità, vergogna. Per questo la psicoterapia è sempre parte integrante del percorso di cura. La dottoressa Barbara Funaro, psicologa e psicoterapeuta, psicoanalista SPP, ipnoterapeuta, sessuologa e criminologa a Milano, si occupa da anni di vulvodinia, ha trattato già centinaia di donne e sta scrivendo un libro su questo disturbo e sul ruolo della psicoterapia.

Mente e dolore

«Tutti i disturbi ginecologici, dalla cistite interstiziale alla sindrome dell’ovaio policistico, sono profondamente influenzati da aspetti psicologici disfunzionali, connessi alla funzionalità organica femminile», spiega la dottoressa. «I disturbi psicologici nelle donne che soffrono di vulvodinia sono stati ampiamente documentati: disfunzioni del tono dell’umore, tratti depressivi, disturbi di personalità, mancato adattamento ai cambiamenti di vita.

Tutte le patologie che alterano l’ambiente vulvo-vaginale esercitano un profondo impatto sulla vita sessuale e di conseguenza sulla qualità di vita in generale, abbassando l’auto-percezione del sé e compromettendo l’equilibrio psicologico e il benessere. Gli organi genitali rappresentano il luogo simbolico in cui molti conflitti sessuali e relazionali ed eventi traumatici trovano un modo per esprimersi».

Difficile spiegare cosa si prova. «Se consideriamo la cronicità del dolore, il disagio di queste pazienti logora completamente le loro energie a livello quotidiano, influenzando tutta la sfera emotiva. Le donne che arrivano in studio appaiono stressate, depresse, affaticate. Alla fine, esasperate, si dipingono come malate “intrattabili”,”inguaribili”, come se il dolore, ormai stabile e costante, diventasse parte integrante della loro persona e definisse la loro identità. Da qui il senso di colpa che alimenta in loro un notevole senso di solitudine, spesso accompagnato dalla convinzione di essere le uniche a soffrire di un problema così “imbarazzante”».

Abbattere i tabù

Il tabù è il primo ostacolo da affrontare. «Nonostante i notevoli passi avanti fatti in termini di riconoscimento della patologia negli ultimi anni, la vulvodinia resta in una zona grigia, un’area di confine tra problemi organici e altri di natura psicosessuale. Spesso le donne che arrivano in studio per la prima volta parlano di un problema apparentemente “sfumato”, difficile da descrivere e da raccontare, per cui risulta complesso risalire all’eziologia esatta che scatena il disagio.

Spesso si cerca di identificare una radice di tipo sessuale, altre volte si etichetta proprio il disturbo come disfunzione sessuale. Esiste ancora una barriera, uno stigma nei confronti della vulvodinia, anche oggi relegata a problema mentale. Anche il silenzio istituzionale di molti anni ha contribuito all’ispessimento di queste barriere. Per fortuna questi muri si stanno sgretolando sotto l’azione decisa di molti esperti in vulvologia, attivi sul fronte della sensibilizzazione al problema».

Lo scopo della psicoterapia

Che ruolo gioca la psicoterapia? «Crea un ponte tra la sintomatologia dolorosa vulvare e i vissuti di inadeguatezza e frustrazione», risponde la dottoressa. «Sia la letteratura che la pratica clinica indicano che le terapie standard possono andare incontro a limitati benefici, se non affiancati da un percorso di “adattamento allostatico” delle pazienti messo in atto da uno specialista psicoterapeuta adeguatamente formato in vulvodinia.

La sofferenza riguarda la globalità della persona e ciò rende necessario un intervento terapeutico capace di tenere insieme corpo e mente. La paziente vulvodinica arriva ad auto-eliminarsi dalla società, allontana la propria sfera di relazioni. Poiché il dolore costituisce un importante inibitore del desiderio sessuale, dell’eccitazione mentale e fisica, la vulvodinia può associarsi anche a un impoverimento della risposta sessuale, con conseguente perdita del desiderio, anorgasmia, secchezza vaginale, crescente insoddisfazione che conduce a frustrazione totale».

La frontiera dell’ipno-analisi

La psicoterapia può essere associata all’ipnosi. «Ho attivato un percorso che ho chiamato di ipno-analisi, in cui a sedute psicoanalitiche affianco un trattamento di ipnosi eriksoniana», racconta la dottoressa Funaro. «Anche se non c’è ancora una letteratura solida sul tema, esistono alcune ricerche, supportate dal riscontro diretto di centinaia di donne già trattate nella pratica clinica, che hanno dimostrato che un protocollo così strutturato può portare a una notevole riduzione del dolore e a un potenziale recupero della dimensione di piacere sessuale. Si riducono l’ansia e l’insonnia e migliora la qualità della vita. Questi risultati mostrano l’importanza di tenere sempre un approccio a 360 gradi, che considera la donna nella sua globalità, evitando di isolare il “sintomo dolore”».

Come funziona? «Attraverso l’alterazione dello stato di coscienza, l’ipnosi attinge all’inconscio della donna dove risiedono tutte le sue risorse sopite e le fa riemergere attivando un processo di guarigione, completamente basato sulla comunicazione con il terapeuta. Attraverso il linguaggio metaforico, analogico, comprensibile solo alla parte inconscia dell’individuo, vengono mobilitati gli elementi positivi in essa contenuti, ristabilendo l’equilibrio perduto.

Lo scopo è rinforzare l’Io della paziente, indebolito da tre manifestazioni principali: insicurezza, vergogna e senso di inferiorità. Le pazienti vulvodiniche alterano il giudizio di valore su loro stesse, fino a percepirsi come inadatte, inconsistenti, non capaci. Sottostimano la loro forza e le loro risorse, fino ad arrendersi. È un approccio che non si concentra sulle cause (che tuttavia vengono indagate), ma sul cambiamento. Seduta dopo seduta, la donna comincia a riacquistare fiducia nelle proprie possibilità e si sente artefice della propria guarigione».

 

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