Il pavimento pelvico è spesso il vero protagonista del percorso di cura della vulvodinia. Sono infatti frequenti i casi in cui il dolore è causato dalla condizione di ipertono muscolare, ovvero la contrazione perenne dei muscoli che compongono il pavimento pelvico.
Questa condizione causa l’incapacità della paziente di rilassare o controllare volontariamente i muscoli e, a volte, persino l’inversione dei comandi di contrazione e rilascio. La contrazione continua provoca squilibri nell’ossigenazione e continue sollecitazioni alle terminazioni nervose. Come conseguenza si verificano danni ai tessuti muscolari, ai vasi sanguigni e ai nervi collocati nella zona vulvare.
Si verifica inoltre un fenomeno chiamato “sprouting”: le terminazioni nervose periferiche si attivano eccessivamente fino a moltiplicarsi, causando così un’ulteriore amplificazione del dolore. In questo contesto è evidente che un percorso rieducativo e riabilitativo di fisioterapia possa rivelarsi la strategia vincente per affrontare la vulvodinia.
Vulvodinia: le tecniche e gli strumenti della fisioterapia
Il percorso fisioterapico per curare la vulvodinia è diverso da paziente a paziente.
La pianificazione dell’intervento fisioterapico consiste nell’elaborazione degli obiettivi terapeutici a breve, medio e lungo termine e nella scelta dei mezzi per raggiungerli. Ecco gli strumenti di cui si avvele il fisioterapista.
1) L’esercizio terapeutico
Viene dapprima spiegato alla paziente la relazione esistente tra i suoi sintomi e la componente muscolare del pavimento pelvico, utilizzando immagini e modelli anatomici. Poi, con l’esercizio terapeutico, vengono si aiuta la paziente a prendere coscienza delle diverse dinamiche del pavimento pelvico, soprattutto con riferimento al rilassamento muscolare. Particolarmente utile in questa fase appare l’utilizzo della respirazione. Successivamente, attraverso l’uso di posizioni e manovre che favoriscano lo stiramento del pavimento pelvico e del muscolo elevatore dell’ano, si cerca di modificare lo stato di ipertono di questi muscoli.
2) La terapia manuale
Questi esercizi vengono proposti in una seconda fase di riabilitazione ossia dopo la presa di coscienza del pavimento plevico. Si tratta di un insieme di tecniche applicate allo scopo di trattare i trigger points e i tender points. I primi sono punti sensibili presenti nei tessuti muscolari, molto simili a dei noduli irritabili e infiammati, localizzati in un determinato muscolo. La zona è dolorosa alla palpazione e può provocare un dolore proiettato in un’altra zona.
I tender points sono invece punti del corpo che sono particolarmente sensibili al dolore quando vengono applicate pressioni leggere. Per trattare questi punti si eseguono dei trattamenti endovaginali e/o endoanali secondo il protocollo Stanford, manovre esterne, tecniche di massaggio in particolare quello di Thiele e si utilizzano metodi di rilassamento.
3) Il biofeedback
Consiste in uno strumento elettromedicale che permette di rilevare l’azione muscolare attraverso un’apposita sonda, proiettando su monitor un grafico di tale attività, rilevabile anche con segnale uditivo. In questo modo paziente e terapeuta hanno un riscontro in tempo reale dell’attività contrattile del muscolo. A seconda delle funzioni, delle capacità di memoria e della praticità d’uso, lo strumento può essere utilizzato in ambito ambulatoriale, oppure autonomamente dalla paziente a domicilio.
4) La stimolazione elettrica funzionale (TENS)
La TENS consiste nell’applicazione di correnti elettriche a basso voltaggio attraverso degli elettrodi applicati in vari siti. Essendo la vulvodinia una sindrome dolorosa regionale complessa su base neuropatica, con questa terapia si possono “rieducare” le terminazioni nervose che lavorano in maniera anomala.
5) I dilatatori vaginali
Sono uno strumento che permette lo stiramento e la dilatazione progressiva del canale vaginale. Consiste in un set, solitamente costituito da 4-5 dilatatori, di diametro e lunghezza crescente. Possono essere utilizzati inizialmente in sede ambulatoriale, per essere impiegati poi anche autonomamente a casa dalla donna. Quando, dopo giorni o settimane, la resistenza muscolare diminuisce, è possibile passare al dilatatore con diametro e lunghezza superiore. Il dilatatore viene tenuto in sede per circa 10-15 minuti al giorno o per più tempo, se la donna lo ritiene vantaggioso, oppure a giorni alterni, a seconda della condizione della paziente e del momento terapeutico.
6) L’autotrattamento e il trattamento domiciliare
Fanno parte quindi di questa attività, l’esecuzione di esercizi domiciliari precedentemente appresi durante le sedute di fisioterapia, e l’utilizzo di strumenti come il biofeedback e i dilatatori vaginali.
Per quanto riguarda i risultati dell’utilizzo di fisioterapia e riabilitazione del pavimento pelvico in caso di vulvodinia, le percentuali di miglioramento nelle pazienti sottoposte alla sola fisioterapia e riabilitazione del pavimento pelvico sono comprese in un range tra il 72% e il 10%, in riferimento alla remissione del dolore e del bruciore, e alla ripresa dei rapporti sessuali. Un 10% delle pazienti non ha nessun miglioramento della sintomatologia.