Patologia multifattoriale, la vulvodinia richiede un intervento su più fronti. Abbiamo parlato del ruolo basilare della fisioterapia con la dottoressa Arianna Bortolami, fisioterapista e consulente in sessuologia a Padova.
Chi sono le pazienti che arrivano nel suo studio?
Sono donne molto sofferenti, purtroppo da più punti di vista: hanno dolore nella zona genitale, hanno spesso difficoltà o impossibilità ad avere rapporti sessuali, possono avere alterazioni nella funzione urinaria e intestinale, fanno fatica a stare sedute e di questo ne può risentire anche l’attività lavorativa. Inoltre hanno una vita sociale molto compromessa e spesso anche sonno e alimentazione risultano alterati dai sintomi.
Perché quindi la fisioterapia?
Perché molte pazienti presentano i muscoli della zona genitale, che si chiamano pavimento pelvico, rigidi, contratti, con scarsa capacità di movimento.
E questo cosa comporta?
Incide in maniera negativa sulle funzioni a cui questi muscoli sono preposti che vanno da quella urinaria a quella fecale fino a quella sessuale. Infatti, i muscoli del pavimento pelvico circondano l’uretra (il canale che collega la vescica con l’esterno), il canale anale e vaginale. In questo modo contribuiscono al riempimento e allo svuotamento vescicale e rettale. Inoltre sono coinvolti nell’atto della penetrazione contribuendo così al piacere sessuale.
Da dove nasce allora il dolore?
Nella vulvodinia il dolore è dovuto ad una alterazione dei circuiti della sensibilità, e per questo può essere percepito in modo localizzato o generalizzato nella zona genito-urinaria-anale. Inoltre, talvolta come conseguenza, talvolta come causa, i muscoli del pavimento pelvico, al pari di qualsiasi altro muscolo del nostro corpo, diventano contratti provocando, oltre alle alterazioni descritte sopra, anche dolore. Se sono contratti la penetrazione diventa dolorosa, se non impossibile. A dolore si somma dolore, in un circolo vizioso che porta i muscoli a contrarsi ancora di più con un accentuarsi della sofferenza fisica ed emotiva.
Ma perché i muscoli del pavimento pelvico sono così contratti?
Alcuni studi hanno evidenziato il fatto che ci sono donne geneticamente predisposte ad avere un’iperattività di questa muscolatura. Alcune donne se ne rendono conto nel momento in cui non riescono ad inserire un assorbente interno, altre ne prendono coscienza quando cominciano ad avere rapporti. In altri casi invece l’eccessiva attività dei muscoli pelvici può essere determinata dall’insorgere di infezioni ricorrenti che modificano i circuiti della sensibilità determinando una contrazione eccessiva e provocando dolore.
In che modo può essere utile la fisioterapia?
Come tutti i muscoli, anche quelli dell’area pelvica possono essere riabilitati così da ripristinare le funzioni a cui presiedono, compresa quella sessuale, con l’obiettivo finale di eliminare il dolore e permettere la ripresa di una condizione di vita normale.
Come si procede quindi?
La fisioterapia interviene sulla patologia con una serie di tecniche e strumenti. Si parte con l’esercizio terapeutico, fondamentale innanzitutto perché le donne prendano coscienza di una muscolatura di cui spesso sono del tutto inconsapevoli. Una volta imparato a “sentire” la parte, è possibile utilizzare una serie di esercizi volti a risolvere l’iperattività dei muscoli pelvici.
Si interviene anche con tecniche di respirazione che aiutano il rilassamento del pavimento pelvico. Si utilizzano tecniche manuali, con le quali si esegue uno stretching nel canale vaginale e con tecniche strumentali come la stimolazione elettrica antalgica (TENS), oppure la radiofrequenza che permette di veicolare in loco sostanze antiinfiammatorie.
Si può usare il biofeedback, uno strumento che è in grado di registrare l’attività muscolare del pavimento pelvico e che si rivela particolarmente utile soprattutto nella fase iniziale della terapia riabilitativa per facilitare la consapevolezza della parte. Durante il percorso riabilitativo con la fisioterapia può essere consigliato l’uso di dilatatori vaginali, utili per rompere uno schema motorio ormai consolidato che porta a contrarre i muscoli pelvici al momento della penetrazione accentuando il dolore e che permette quindi alla donna di fare la penetrazione senza dolore.
Importante anche associare un trattamento comportamentale che consiste nel suggerire l’adozione di abitudini di vita che possono portare a un miglioramento del quadro patologico.
Ogni donna segue lo stesso percorso?
Assolutamente no; va sempre tenuto presente, infatti, che parlando di vulvodinia, come già detto prima, ma vale la pena ripeterlo, ogni donna è un mondo a sé. Gli obiettivi da raggiungere con la fisioterapia sono comuni: innanzitutto togliere il dolore, attraverso la presa di coscienza del pavimento pelvico, la diminuzione del tono e l’apprendimento di una serie di automatismi che permettono di ridurre la sintomatologia dolorosa.
Come si raggiungono questi obiettivi, quali e quante strategie occorre mettere in atto in sede fisioterapica sono tutte questioni personali. Come lo è il tempo necessario per ritrovare una normale condizione di vita, anche in base alla situazione di partenza.
Come succede con qualsiasi altro percorso di riabilitazione, anche con il pavimento pelvico occorre tenere presente che ci vuole comunque tempo perché il cervello impari o recuperi abilità mentali che non ha mai avuto o che ha dimenticato. In ogni caso nell’arco di due, tre mesi si possono avere già i primi miglioramenti.