L’approccio alla vulvodinia è sempre complesso e multidisciplinare. E nuove tecniche come PRP e lipofilling, secondo l’esperienza di diversi specialisti, sembrano offrire risultati promettenti. Va sottolineato in ogni caso che sono interventi eseguibili solo privatamente. Gli studi a riguardo sono ancora limitati, ma la medicina rigenerativa è sicuramente un territorio che sta suscitando molto interesse. Lo scopo, come sempre, è quello di affiancare le terapie tradizionali per dare sollievo dal dolore e migliorare la qualità della vita.
I vantaggi
«Gli interventi di PRP e lipofilling sono procedure innovative che fanno parte della branca della medicina rigenerativa, una volta destinate solo a chi non trovava giovamento da altre terapie e oggi potenzialmente utili a una platea più vasta», spiega Lorenzo Calì Cassi, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. I benefici? «Queste metodiche sono usate in generale per la cicatrizzazione delle ferite e per migliorare la qualità e il trofismo dei tessuti. Sono utilizzate anche per il ringiovanimento vulvo-vaginale.
Nel trattamento della vulvodinia, il vantaggio principale è il miglioramento dei tessuti della mucosa, che diventano meno suscettibili a processi infiammatori cronici, “spezzando“ il circolo del dolore cronico. Offrono un potenziale di guarigione molto alto».
Di cosa si tratta
La metodica PRP (letteralmente platelet rich plasma, plasma arricchito di piastrine) è una tecnica effettuata in regime ambulatoriale, senza bisogno di anestesia né di sedazione. «È usata non solo in ambito estetico ma anche in ortopedia, traumatologia, chirurgia, odontoiatria», spiega lo specialista. «Il PRP è ricco di fattori di crescita: regola la qualità della risposta infiammatoria e stimola le cellule staminali dei tessuti, innescando un processo di rigenerazione e rinnovamento cellulare».
Il lipofilling invece è un trapianto autologo di tessuto adiposo, ovvero è il trasferimento di una porzione di grasso da un distretto corporeo a un altro. «Questa tecnica è preferibile nei casi in cui si riscontrino alterazioni della mucosa vaginale», prosegue il chirurgo. «Il grasso è una componente fondamentale del sottocute ed è un serbatoio importante di cellule staminali.
Ha diversi utilizzi in chirurgia plastica estetica e medicina estetica, dalla mastoplastica additiva alla biorivitalizzazione ma, oltre alle applicazioni estetiche, il trapianto autologo di grasso è utile per la guarigione delle ferite difficili, migliora l’aspetto e la qualità delle cicatrici».
PRP e Lipofilling: come avvengono gli interventi
Il PRP prevede l’iniezione intradermica di un gel biologico a elevata concentrazione piastrinica, ottenuto con un prelievo di sangue. Si centrifuga il materiale ottenuto e successivamente si separano le piastrine dalle varie componenti ematiche e lo si inietta immediatamente attraverso una siringa.
«La procedura è rapida (circa 30 minuti) e indolore», spiega il medico. «In genere il protocollo prevede tre o quattro sedute a distanza di qualche mese una dall’altra».
Nel lipofilling, invece, che è una procedura un po’ più impegnativa, il prelievo del tessuto adiposo avviene in modo da non arrecare danni ai tessuti. Spiega Calì Cassi: «Viene effettuato con piccole cannule, quindi centrifugato e preparato per essere iniettato nei siti di interesse.
L’intervento avviene in anestesia locale o loco-regionale con eventuale sedazione, in regime di Day Hospital (cioè richiede un ricovero di poche ore e si torna a casa la sera stessa dell’intervento) e deve eseguito esclusivamente da chirurghi plastici qualificati e in strutture accreditate.
Dopo l’intervento, non si ha generalmente la comparsa di dolore, ma solo di edema ed ecchimosi temporanee nelle aree di prelievo e di impianto. I tempi di recupero sono generalmente di pochi giorni, se non si svolgono mansioni che richiedono sforzi fisici (in caso contrario, è richiesto un stop di circa 15 giorni). Non ci sono generalmente controindicazioni. Di solito vengono eseguite da una a tre sedute».
Le indicazioni di PRP e Lipofilling
Quando ricorrere a queste metodiche? «Oltre all’uso della tossina botulinica per lo stato di ipertono del pavimento pelvico, si può raccomandare un intervento di PRP o lipofilling per affrontare lo stato di infiammazione cronica associato alla vulvodinia», conclude il medico.
«In alcuni casi di vulvodinia “idiopatica“, senza causa identificata, si tende talvolta a intraprendere questo tipo di trattamenti anche molto precocemente. L’indicazione è frequente specialmente quando la vulvodinia è associata a un’altra patologia, il lichen scleroatrofico della vulva, una malattia infiammatoria cronica, verosimilmente di origine autoimmune, che si manifesta con prurito, bruciore, secchezza vaginale e piccole ragadi.
In questi casi, PRP e lipofilling hanno il ruolo fondamentale di ricostruire il tessuto sottocutaneo e di favorire il ritorno a una mucosa più turgida, nonché di ridurre il dolore, soprattutto durante i rapporti sessuali.
In associazione a queste terapie e alle più tradizionali come l’uso di creme anestetiche, lubrificanti e altre strategie locali o sistemiche, sta trovando sempre più largo impiego anche l’applicazione di pomate e ovuli a base di derivati della cannabis terapeutica», prosegue.
«Come tutte le terapie per il dolore cronico, sono volte a “disinnescare” il circuito del dolore. Spesso sono terapie associate tra di loro, perché da un lato si va a ripristinare la componente anatomica alterata, dall’altro si interviene sul piano neurologico per spezzare il circolo doloroso a livello centrale».