Vulvodinia: la visita ginecologica

L’approccio alla vulvodinia richide sempre una visione multidisciplinare e nell’ottica di definire un quadro preciso del problema, la visita ginecologica resta determinante. Ne parliamo con la dottoressa Elisabetta Colonese, ginecologa, esperta in Terapia della Sterilità di Coppia a Milano.

Un’attenta raccolta di dati

«Una premessa è d’obbligo» commenta subito la ginecologa. «Nel caso della vulvodinia l’assenza di segni clinici visibili rende particolarmente complessa la diagnosi. Questo suggerisce allo specialista di approcciare il problema in modo articolato non limitandosi quindi a una semplice visita, ma iniziando sempre l’incontro con un dialogo attento e partecipe per raccogliere il più possibile di dati sul vissuto della paziente, soffermandosi non solo sulla sua storia ginecologica e ostetrica ma indagando anche gli aspetti che riguardano la sfera psicologica e quella sessuale.

Il ventaglio di disturbi che una donna può presentare è infatti molto ampio, estendendosi dal dolore localizzato, più o meno intenso e persistente, al presentarsi di infezioni ricorrenti fino alle difficoltà nella vita sessuale che spesso culminano nell’impossibilità della penetrazione».

L’importanza del dialogo durante la visita

L’approccio iniziale basato sul dialogo riveste una grandissima importanza durante la visita nell’ottica di arrivare a una diagnosi rapida e certa «È triste ammetterlo ma ancora oggi la vulvodinia resta una patologia che riceve spesso una diagnosi in tempi molto dilatati e di conseguenza un trattamento non adeguato che non porta a soluzione e rischia addirittura a volte di peggiorare la sintomatologia dolorosa» commenta la dottoressa Colonese.

Una diagnosi di vulvodinia si costruisce quindi sulla base dello storico e della visita. «Il dato fondamentale che lo specialista dovrebbe sempre raccogliere dal dialogo riguarda la persistenza del dolore vulvare: la sua presenza da almeno 3-6 mesi è uno dei parametri, anche se non il solo, che può indirizzare verso una diagnosi di vulvodinia» spiega la dottoressa Colonese. Occorre poi escludere in prima battuta attraverso un tampone vaginale o cervicale, la presenza di un patogeno che può essere responsabile di vaginiti ricorrenti. Succede infatti che vaginiti sottostimate o comunque curate in modo errato, magari procedendo con un fai-da-te che in ginecologia è sempre pericoloso, portino a una condizione di infiammazione cronica che provoca sintomi sovrapponibili a quelli della vulvodinia.

La visita vera e propria

«La prima fase della visita prevede sempre un’ispezione ad occhio nudo della vulva per valutare l’eventuale presenza di lesioni e alterazioni su cute e mucosa» continua la dottoressa Colonese. «Questo permette di escludere che il dolore vulvare sia riconducibile a una causa precisa come può essere un’infezione o una dermatosi». Insieme alla presenza di un dolore persistente e invalidante, infatti, è proprio l’assenza di segni visibili di infiammazione a livello vulvare e di secrezioni a far sospettare una diagnosi di vulvodinia.

Per quanto riguarda la visita interna è importante che il medico chieda il consenso a procedere dal momento che nel caso di vulvodinia l’ispezione interna può rappresentare un momento particolarmente doloroso. In questi casi ci si può limitare alla valutazione visiva in attesa che un miglioramento delle condizioni, grazie alla messa in atto di una serie di strategie di cura, consenta di procedere al controllo interno senza eccessivo dolore.

Serve anche lo swab test

Il test pressorio o swab test consente di valutare la presenza e la distribuzione del dolore a livello vulvare. Viene eseguito dal ginecologo durante la visita esercitando una leggera pressione con un bastoncino cotonato inumidito su punti precisi della vulva, in particolare, le grandi labbra, il solco interlabiale, il perineo, il prepuzio, la linea di Hart, cioè la linea di demarcazione che separa le piccole labbra dal vestibolo, il clitoride e il vestibolo vulvare.

Di volta in volta la paziente indica al medico se e dove prova maggior dolore. La misurazione del dolore viene fatta attraverso uno strumento chiamato Scala Visuale Analogica (VAS), una scala di valori da 0 a 10 che serve per attribuire un “punteggio” alla sensazione dolorifica. Quando la donna riferisce dolore mentre viene toccata dal bastoncino si può parlare di una vulvodinia provocata che si distingue da quella spontanea nella quale il dolore è presente di continuo, senza che venga determinato da uno stimolo esterno.

In conclusione

«Non esiste un percorso unico per arrivare alla diagnosi di vulvodinia come del resto non esiste un percorso standardizzato per affrontarla» precisa la dottoressa Colonese. «All’unicità di ogni donna corrisponde infatti la necessità di costruire un progetto di anamnesi e di intervento su misura, pena il rischio di non arrivare a un nulla di fatto come spesso purtroppo ancora oggi succede. Il mio resta comunque un invito alla fiducia.

Anche se la vulvodinia è una sindrome da affrontare con la consapevolezza di un cammino lungo e non facile, necessariamente orientato dall’intervento di più specialisti, è importante non perdersi d’animo: è possibile ritrovare una condizione di vita più serena, contenendo il dolore, limitandone l’impatto sul quotidiano ma anche raggiungendo l’obiettivo che ci si è prefisse, sia quello di recuperare una vita sessuale appagante o, se desiderato, di avere un figlio».