Una donna affetta da vulvodinia può affrontare la gravidanza e il parto? E se sì a quali problematiche va incontro? Quali precauzioni deve prendere? Il parto può avvenire naturalmente o deve avvenire per forza con taglio cesareo? Abbiamo rivolto queste domande a Barbara Gardella, Responsabile servizio di Colposcopia, Vulvoscopia e Patologia del Tratto genitale inferiore UOC Ostetricia e Ginecologia, IRCSS Policlinico San Matteo di Pavia.
«Per una donna affetta da vulvodinia, il percorso verso la maternità è spesso molto difficoltoso. Già a partire dalle probabilità di concepimento, ridotte a causa dell’impossibilità in molti casi di avere rapporti e che costringono diverse coppie a ricorrere alle tecniche di procreazione medico assistita. Senza contare che l’impiego dei farmaci per ridurre la sintomatologia dolorosa non sono sempre compatibili con la gravidanza per il loro rischio teratogeno» spiega la professoressa Gardella.
Gravidanza e vulvodinia: esiste qualche rischio
«Le donne con questa patologia che arrivano dunque ad una gravidanza non sono tante e anche la letteratura scientifica non offre molti dati a supporto. Quello che emerge però di sicuro è che la vulvodinia ed il vaginismo in gravidanza sono un fenomeno in aumento.
Uno studio retrospettivo sulla popolazione americana registrava una prevalenza di queste patologie di 2 casi su 100.000 donne in gravidanza nel 1999, mentre nel 2015 i casi erano saliti a 16 su 100. 000».
Un altro dato importante emerso, è che in queste donne vi è un rischio maggiore di eclampsia e di andare incontro a infezioni delle membrane amnio-coriali e di conseguenza di partorire con taglio cesareo o per via vaginale operativo, con utilizzo della ventosa. Queste pazienti, inoltre, hanno un maggior rischio di gravidanze oltre il termine e di durata del ricovero (superiore a 6 giorni).
«Le cause di queste complicanze nel periodo perinatale si possono far risalire alla disfunzione del sistema infiammatorio che è peculiare nella vulvodinia, ossia la cascata citochinica anomala che provoca neuroinfiammazione e iperalgesia. Senza contare la comorbilità con alcune patologie, come l’endometriosi e l’adenomiosi, che aumentano di per sé i rischi » spiega la professoressa Gardella.
Dopo il parto la vulvodinia spesso migliora
Ma nonostante quanto riportato dalla scarsa letteratura scientifica disponibile, esistono anche dati molto incoraggianti.
«Abbiamo monitorato per 14 anni, dal 2008 al 2022 le pazienti affette da vulvodinia seguite dal nostro Ambulatorio di Vulvoscopia, in totale 97 donne. Di queste, 37 sono riuscite ad avere almeno una gravidanza.
Quindici pazienti hanno intrapreso una gravidanza dopo la prima visita ed erano affette da vulvodinia al momento del concepimento, mentre 22 donne avevano già avuto una gravidanza alla prima visita. Di queste, 3 soffrivano di vulvodinia prima della gravidanza, mentre nelle restanti 19 la vulvodinia è insorta dopo la gravidanza» illustra Barbara Gardella.
«Il ricorso al taglio cesareo non è stato sistematico, ma ha riguardato 4 casi, 2 per scelta della donna e 2 per complicanze fetali insorte. A partoanalgesia è stata eseguita in 7 pazienti e il peso alla nascita in media dei neonati è stato di oltre 3200 grammi».
Ancora più rassicuranti sono stati gli esiti post partum. Il 26,7% delle donne ha affermato di soffrire ancora di vulvodinia, contro il 73,3% che ha dichiarato di non avere più disturbi.
Alla domanda: “la vulvodinia è peggiorata o migliorata dopo la gravidanza?”, ha risposto che è peggiorata o rimasta stabile il 33,4% delle donne mentre il 66,6% ha affermato che è migliorata.
Anche la modalità di parto pare influire molto: nelle donne che hanno subito un taglio cesareo, la vulvodinia è rimasta stabile o è peggiorata in 3 pazienti, mentre solo per una paziente la vulvodinia è migliorata. Invece nelle donne che hanno partorito per le vie naturali (11 in totale), in 8 pazienti la vulvodinia è migliorata dopo il parto e solo in 3 pazienti è rimasta stabile o è peggiorata.
Terapie e gravidanza: un binomio possibile
«Nella nostra esperienza, quindi, nelle donne affette da vulvodinia, non solo la gravidanza, opportunamente seguita è possibile, ma lo è anche il parto per via vaginale che ha mostrato di avere persino un ruolo protettivo. Il fatto che la donna affetta da vulvodinia abbia una maggiore confidenza con il proprio pavimento pelvico, dovuta alle terapie fisiche a cui molto spesso si sottopone, è sicuramente una marcia in più nell’espletamento della parte finale del parto vaginale. E la stessa cosa si può dire anche per il recupero post partum, quando c’è bisogno di ristabilire la corretta tonicità delle fasce muscolari» ribadisce la ginecologa.
È importante comunque fare riferimento a centri che si occupano in modo specifico di questa patologia, con ginecologi e ostetriche che sanno consigliare e dare fiducia alla futura mamma sulle sue capacità. Occorre sottolineare poi che non sempre è necessario interrompere le cure che la donna sta seguendo per trattare i sintomi dolorosi. Farmaci come il pregabalin o il gabapentin non sembrano avere un rischio elevato di teratogenità mentre gli antidepressivi triciclici e gli SNRI hanno un buon profilo di sicurezza: i dati sono limitati ma rassicuranti.
In ultima analisi la consapevolezza e l’affidarsi a professionisti esperti è un aspetto fondamentale per scegliere il tipo di parto che si desidera, in tutte le donne ma a maggior ragione nelle donne affette da vulvodinia.