La storia della vulvodinia è lunga e travagliata. Volgeva al termine il diciannovesimo secolo quando l’esistenza di una sindrome dolorosa vulvare, senza riscontro di segni clinici visibili, venne confermata per la prima volta da alcuni medici. Quelle donne non mentivano: il loro dolore era reale, benché i loro tessuti vulvari apparissero integri.
Enormi passi avanti avrebbero potuto essere compiuti da allora a livello diagnostico e terapeutico, risparmiando anni di sofferenza a molte donne. Invece, a seguito dei primi cenni da parte di alcuni ricercatori, per molti decenni questa condizione di dolore vulvare in assenza di lesioni visive restò una patologia fantasma, completamente scomparsa da testi e manuali scientifici.
«Questo lungo periodo di silenzio della comunità medica e scientifica è verosimilmente responsabile del fatto che, a tutt’oggi, la vulvodinia venga spesso ancora vista più come un mito e non come una dolorosa realtà di cui soffrono moltissime donne», afferma Leonardo Micheletti, ginecologo del Dipartimento di discipline ginecologiche e ostetriche dell’Università di Torino. Ripercorriamo insieme i passaggi che hanno portato questa patologia a essere finalmente vista e riconosciuta dalla comunità scientifica.
1880-1920: le prime scoperte
Fu il ginecologo G.T. Thomas a definirla come una forma di eccessiva sensibilità delle fibre nervose deputate all’innervazione della mucosa di alcune aree vulvari. Lo specialista specificava già che il disturbo poteva restare confinato al vestibolo o estendersi ad altre aree. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, un altro medico, Alexandre Skene, confermò l’esistenza di un dolore vulvare non associato a lesioni cliniche visibili, parlando di dolore molto forte, che subentra quando le dita toccano le parti iperestesiche (caratterizzate cioè da un’accentuata eccitabilità sensitiva).
1970-1983: i primi riconoscimenti
Sarà solo con la fondazione della International Society for the Study of Vulvovaginal Disease (ISSVD), che questa particolare condizione clinica riemergerà dal dimenticatoio, scatenando dibattiti e discussioni tra gli esperti che ancora non ne avevano ben chiari i meccanismi sottesi e le strategie da adottare per contrastarla.
Al congresso mondiale della ISSVD nel 1975, questa condizione clinica viene descritta genericamente come la sindrome della vulva che brucia. Sarà la stessa ISSVD , nel 1983, ad adottare per la prima volta il termine vulvodinia al posto di vulvar burning sindrome, per indicare un disturbo vulvare cronico prevalentemente caratterizzato da bruciore e talvolta da sensazione di puntura, irritazione o escoriazione.
2003: la definizione di vulvodinia
La stessa società ribadirà, agli inizi degli anni Duemila, che vulvodinia è il termine più corretto per indicare un «disturbo vulvare, più spesso descritto come dolore urente, che si presenta in assenza di segni clinici visibili rilevanti o di una specifica, clinicamente identificabile, alterazione neurologica», cita Micheletti. «Viene inoltre riconfermata la raccomandazione di abbandonare l’uso del termine vestibolite, di chiara matrice infiammatoria – infettiva, in seguito alla conferma che questa sindrome dolorosa non origina direttamente da un’ infiammazione o infezione».
2014-2023: l’avvio dell’iter di riconoscimento come malattia invalidante
Nel 2014 alcune associazioni sottopongono alle autorità la documentazione scientifica necessaria affinché la vulvodinia rientrasse nei LEA, i livelli essenziali di assistenza: per le malate questo significherebbe poter accedere gratuitamente, o dietro pagamento di un ticket, a diverse prestazioni e servizi erogati dal Sistema sanitario nazionale.
Il 7 aprile 2021 viene presentato alla Camera dei deputati il primo Progetto di legge per il riconoscimento della vulvodinia come patologia invalidante, con istituzione di un tavolo di lavoro apposito, a cui siedono specialisti e associazioni di pazienti. Infine è del 2 agosto 2023 la presentazione di un apposito disegno di legge, per iniziativa dei deputati Malavasi e Forattini, che si pone come obiettivo la tutela del diritto alla salute delle persone affette da vulvodinia e neuropatia del pudendo, al fine di facilitare e accelerare il percorso di diagnosi e cura e migliorare le loro condizioni di vita.