Malattia al femminile, la vulvodinia, per il suo forte impatto sulla vita quotidiana comporta pesanti riflessi anche sul partner e su altre figure maschili che ruotano attorno alla donna. Per questo abbiamo deciso di parlare dell’argomento con Federico Russo, psicologo e psicoterapeuta, direttore clinico di Serenis.it.
Lui e la vulvodinia: un rapporto spesso difficile
Per un uomo può essere difficile inizialmente capire cosa sia la vulvodinia, cosa si provi ad averla e che impatto possa avere a livello fisico, psicologico e sociale. In casi di negazione, o mancanza di empatia, l’uomo potrebbe addirittura dubitare dell’effettiva presenza della condizione, data la sua natura “invisibile” come succede per tante altre condizioni, ancora non chiare, che interessano nello specifico vagina, utero e pavimento pelvico.
Inoltre, la sessualità spesso può essere compromessa in vari modi: le limitazioni nella sfera intima possono provocare frustrazione e calo del desiderio da ambo le parti. Questa situazione potrebbe generare senso di colpa e incidere ulteriormente sull’umore nella persona che soffre di vulvodinia, rendendo quindi impegnativo il supporto da parte del partner; oppure potrebbe generare risentimento nel partner che può erroneamente vivere tale limitazione come un rifiuto e in qualche modo pesare sulla serenità della coppia.
Il partner di fronte al dolore
La sofferenza e il disagio che la vulvodinia provoca sono evidenti, mentre le cause sono invisibili e spesso incerte . Tutto ciò può provocare un senso di impotenza e di frustrazione causato dall’incapacità di aiutare la persona che ne soffre.
D’altra parte, sulla scia di un retaggio patriarcale e discriminatorio, alcuni uomini potrebbero invece reagire minimizzando o addirittura affermando che quella sofferenza sia esagerata e attribuendo le cause della vulvodinia a capricci o somatizzazioni isteriche (come in età vittoriana venivano stigmatizzati alcuni disagi femminili), invalidando così il dolore della persona che ne soffre, e arrecando maggiore disagio.
Ciò è dovuto in larga parte al pregiudizio di genere in medicina, cioè una distorsione cognitiva che da secoli ha portato a un maggior interessamento verso le problematiche maschili, a una minore inclusione delle donne nei trial clinici e alla perpetuazione di convinzioni erronee nei confronti della sfera femminile.
Cosa può fare lui per essere di aiuto?
Essere di supporto per la partner che soffre di vulvodinia significa principalmente condividere la sua sofferenza a livello psicoogico e fornire aiuto pratico nei momenti di sofferenza acuta. Vivere con una condizione di dolore cronico rende alcune azioni quotidiane difficili o impossibili da svolgere. Di conseguenza, poter contare su un alleato che fornisca aiuto concreto nel momento del bisogno (dalle faccende quotidiane alle visite mediche) può alleviare parte di questo fardello; ma questo può anche portare a vissuti di colpa: la persona che soffre di vulvodinia può percepirsi come “un peso” per la persona amata o per altre persone significative.
Cosa può fare dal canto suo la donna?
L’empatia e l’apertura alla comunicazione delle proprie emozioni sono fondamentali in questi casi: permettono innanzitutto di liberarsi del peso dato dalla inibizione emotiva, quel fenomeno per cui tendiamo a tenere dentro ciò che proviamo correndo il rischio che le emozioni spiacevoli si irrigidiscano e peggiorino nel tempo.
Iinoltre, parlare apertamente di come ci si sente permette di prevenire il fenomeno di “lettura della mente”, fenomeno per cui siamo certi delle convinzioni e dei sentimenti di un’altra persona sulla sola base di nostre ipotesi non comprovate. Soffrire di vulvodinia, sebbene si riceva il supporto di una persona cara, può comunque fare sentire la persona (e la coppia) sola, isolata e spesso non compresa appieno dal personale medico e dalle altre persone.
Richiedere un aiuto professionale a un o a una psicoterapeuta può aiutare ad affrontare i momenti più difficili della malattia, ad acquisire gli strumenti psicologici utili in ambito quotidiano per ritrovare quella qualità di vita che la malattia rischia di compromettere non solo a livello fisico, ma anche psicologico.