Esiste una correlazione tra infertilità e vulvodinia? Parliamo di questo tema particolarmente delicato con la dottoressa Elisabetta Colonese, ginecologa, esperta in Terapia della Sterilità di Coppia a Milano.
Vulvodinia e infertilità si associano?
«Possiamo partire dicendo che dietro l’incapacità riproduttiva, o comunque dietro una difficoltà alla procreazione, può nascondersi un problema di vulvodinia» precisa l’esperta. «Ma per essere precisi occorre procedere per gradi tenendo conto innanzitutto del fatto che l’infertilità è sempre un concetto che fa riferimento alla coppia nella sua completezza di uomo e donna. In alcune situazioni però è possibile riconoscere alcune cause che afferiscono a una sola delle due componenti: cambiando una delle due variabili, mescolando per così dire le carte, una storia di infertilità di riparte da zero con la possibilità di essere risolta.
Tornando alle cause per l’uomo si parla di problematiche di tipo seminali (astenoteratozoospermia – dispermia moderata o severa – azoospermia) mentre per la donna l’elenco è più corposo e comprende problemi ormonali e infettivi, endometriosi, malformazioni, dilatazioni tubariche, presenza di polipi e fibromi. E tra le cause propriamente femminili che entrano in gioco quando si parla di infertilità, come determinanti o come associate, va elencata anche la vulvodinia».
Come la vulvodinia interferisce con la fertilità?
«Innanzitutto va ricordato che molte donne che hanno una storia di vulvodinia grave si trovano impedite ad avere rapporti sessuali completi a causa del dolore che provano al momento della penetrazione» commenta la ginecologa. «È chiaro quindi che questo rappresenta il primo, concreto impedimento alla possibilità di procreare.
In genere si suggerisce di rivolgersi a uno specialista di infertilità dopo un anno di rapporti frequenti, quindi ogni 48 ore, oppure mirati nella finestra fertile nelle donne sotto il 35 anni mentre dopo questa età il tempo si restringe a sei mesi. Nel caso di una donna che soffre di vulvodinia queste tempistiche non sono valide proprio perché il dolore impedisce di avere rapporti frequenti o comunque indirizzati nel periodo fertile.
Sapere di “dover” avere un rapporto in un momento preciso per poter restare incinta, rischia di creare in una paziente con vulvodinia una forte ansia. La donna è cosciente, infatti, che può non essere in grado di affrontare un rapporto completo in giornate in cui magari i sintomi sono peggiori oppure sono necessarie terapie farmacologiche non compatibili con il concepimento. Questo ingenera nella donna una condizione di ansia che, in un circolo vizioso, peggiora la problematica e rende ancora più concreto il rischio di infertilità».
Cosa si può fare quindi?
«Il primo consiglio è ovviamente quello di non pensare che sia possibile risolvere da soli il problema, ma che al contrario sia basilare affidarsi a uno specialista che si occupa di infertilità» commenta l’esperta. «Nel momento in cui sui presenta un’impossibilità ai rapporti, occorre rendere noto al ginecologo il proprio desiderio di avere un figlio in modo che il professionista sia sollecitato a trovare le soluzioni più adeguate alla problematica.
Si può procedere con tecniche di fecondazione medicalmente assistita che non sono necessariamente di secondo livello (fecondazione in vitro). Può essere sufficiente, infatti, una pratica di inseminazione intrauterina. Si tratta di posizionare in utero, mediante una cannula piccolissima e morbidissima che viene fatta passata attraverso la vagina dilatata con uno speculum di piccole dimensioni, il liquido seminale del partner capacitato cioè lavorato in laboratorio.
La pratica viene messa in atto in un momento preciso cioè dopo aver identificato, con un monitoraggio ecografico, la fase dell’ovulazione. Con una/due ecografie effettuate attorno al 10-12esimo giorno del ciclo si verifica la presenza del follicolo e quindi di un’ovulazione spontanea e, in base alle dimensioni del follicolo e allo spessore dell’endometrio, si procede alla somministrazione di un farmaco che porta a maturazione rapida il follicolo in modo da rilasciare l’ovulo nella tuba: 48 ore dopo si procede con l’inseminazione.
In alternativa alla inseminazione intrauterina si può seguire lo stesso iter evidenziando mediante ecografia il momento preciso in cui indirizzare il rapporto sessuale, così da non andare alla cieca e “risparmiare” inutili tentativi che possono essere dolorosi per una donna che soffre di vulvodinia.
Questo potrebbe far pensare a una forzatura da vivere come un obbligo: in realtà riuscire a identificare il giorno preciso in cui avere un rapporto garantisce la piena libertà di non doversi impegnare in rapporti continui, ogni 48 ore, per “centrare” la finestra fertile. Il monitoraggio ecografico permette per altro di verificare con massima affidabilità la presenza dell’ovulazione, dato basilare per stabilire se la donna ha possibilità o meno di procreare».
Da ultimo un suggerimento
«Lo rivolgo a tutte le donne, comprese ovviamente quelle che soffrono di vulvodinia e quindi a maggior rischio infertilità» conclude la dottoressa Colonese. «Nel momento in cui si decide di avere un figlio è sempre opportuno che la coppia si rivolga allo specialista per una visita preconcezionale che, attraverso un panel completo di esami e controlli, escluda la presenza di impedimenti alla procreazione e metta in atto le corrette pratiche perché la gravidanza sia il più serena possibile».