La comunità scientifica è concorde nell’affermare che la vulvodinia, patologia complessa e multifattoriale, necessiti dell’approccio integrato di molte e diverse specialità mediche. In questa ottica trova spazio anche l’alimentazione per il suo ruolo centrale nel mantenere in salute il microbiota intestinale. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Elisa Gagliano, biologa, nutrizionista, farmacista e fitoterapista a Torino.
È necessario un approccio dietetico in caso di vulvodinia?
«Occorre fare subito un necessario chiarimento. L’intervento in ambito nutrizionale attraverso una dieta specifica non è di per sé risolutivo della vulvodinia come del resto non lo sono altri tipi di interventi che si limitino a prendere in considerazione un singolo aspetto del problema o si focalizzino su un unico organo interessato dalla malattia. Allo stesso modo non si deve pensare che esista un protocollo alimentare standard da adottare in caso di vulvodinia. Diete, spesso integraliste, restrizioni, programmi alimentari a volte non equilibrati non hanno fondamento come trattamento della vulvodinia».
Quando entra in gioco allora il nutrizionista?
«Quando la donna che soffre di vulvodinia presenta anche disturbi gastro-intestinali che possono andare dal gonfiore alla stipsi, dalla sindrome dell’intestino irritabile alle allergie alimentari fino al dolore pelvico cronico. Un’associazione, per altro, che si presenta con molta frequenza. Un ampio studio epidemiologico multicentrico del 2020, che va sotto il nome di VuNet , ha mostrato che il 94,7% delle donne affette da vulvodinia presentava una comorbilità che coinvolgeva l’intestino con varie tipologie di disturbi come quelli sopra elencati. Il microbiota intestinale, infatti, è in grado di modulare quello urinario e vaginale dal momento che dal microbiota intestinale possono fluire ceppi batterici responsabili di cistiti, micosi, infiammazioni croniche».
Che rapporto c’è tra microbiota e vulvodinia?
«Per rispondere alla domanda occorre prima prendere in considerazione il microbiota, l’insieme dei microrganismi che vivono in simbiosi con l’organismo e al quale spetta il compito basilare di modulare il sistema immunitario e mediare il livello delle risposte infiammatorie. Un microbiota sano, il che non vuol dire solo in equilibrio ma anche diversificato e ricco di specie microbiche, comporta una miglior risposta immunitaria e una ridotta infiammazione sistemica.
Questo significa godere di una forte difesa naturale contro la proliferazione e l’adesione della candida e di altri agenti patogeni responsabili di infezioni ricorrenti a livello urinario. Lo stesso studio di cui abbiamo parlato sopra ha messo poi anche in luce l’associazione tra la vulvodinia e la presenza di infezioni ricorrenti da candida vulvovaginale e infezioni urinarie.
Da questo ne deriva l’ipotesi, concreta ma meritevole di ulteriori studi di approfondimento, che un iniziale problema infettivo a livello urinario, vulvare o vaginale – come può essere una candidosi sottostimata o trattata in modo non adeguato – possa portare a una condizione di infiammazione sistemica di basso grado. Questa può scatenare una produzione eccessiva di sostanze antiinfiammatorie come l’istamina, che a loro volta possono aumentare la sensibilità dei nervi e provocare un’iperattività del sistema immunitario locale a livello vulvare, sostenendo così la sintomatologia dolorosa».
Torniamo sul discorso dell’infiammazione e della sua relazione stretta con il dolore cronico…
«Un microbiota sano è in grado di mantenere un equilibrio tra le risposte immunitarie pro e antiinfiammatorie. Per contro un microbiota alterato porta anche a un’alterazione del micobiota, il sistema micofungino che rilascia mediatori in grado di sostenere l’infiammazione cronica. Questa, come visto sopra, entra in gioco nella sintomatologia dolorosa pelvica e vulvare.
Si comprende quindi come sia importante valutare lo stato di salute del microbiota. Che facilmente può essere alterato da diversi fattori come lo stile di vita, lo stress, l’ambiente che ci circonda, l’assunzione di farmaci, in particolare di antibiotici. Quando sono presenti candidosi e cistiti ricorrenti, ad esempio, la prescrizione continua di antibiotici finisce per alterare e ridurre la biodiversità del microbiota che, in alcuni casi, può aver bisogno anche di due anni per ritrovare equilibrio.».
E la nutrizione che ruolo gioca?
«Sicuramente un ruolo chiave. La biodiversità del microbiota, infatti, può essere influenzata, sia in maniera positiva che negativa, dalle scelte che si fanno a tavola. Queste riguardano in primis cosa si mangia, ma anche quanto e quando lo si mangia. In sostanza si potrebbe dire che la nutrizione è in grado di modulare il microbiota che, se alterato, è coinvolto nel dolore cronico».
E qui allora entra in gioco l’intervento del nutrizionista…
«Ancora una volta va ribadito che nella gestione di una patologia complessa come la vulvodinia l’approccio integrato è l’unico possibile. Il contributo della dieta si affianca quindi ad altri e nasce da un’accurata valutazione clinica e da un ascolto attento e partecipato della paziente, al fine di individuare le strategie che possano migliorare la condizione del microbiota e di riflesso allentare la sintomatologia dolorosa.
E al proposito va sottolineato che anche in ambito nutrizionale, come negli altri ambiti coinvolti nella cura della vulvodinia, non esiste un protocollo standard che possa essere applicato a tutte le donne: ogni caso è diverso e richiede un intervento perfettamente calibrato sulla persona, sulle sue problematiche e sulle sue esigenze.
Per scendere nel pratico, quindi, si può intervenire con suggerimenti di tipo alimentare che riguardano anche la scansione e l’orario dei pasti, la qualità, la quantità e la combinazione degli alimenti, oltre al loro indice glicemico. Può essere utile anche supportare l’intestino con fermenti lattici specifici e altri integratori così come può venire in aiuto la fitoterapia».