Le storie sono importanti. A maggior ragione quelle di chi ha incontrato, e superato, una patologia complessa come la vulvodinia. A raccontarci il suo percorso di sofferenza e di vittoria è Ilaria Fratoni, 37 anni, attrice e presentatrice, dal 2015 volto noto di Meteo.it sulle reti del gruppo Mediaset.
Partiamo da dove tutto è cominciato…
Partiamo quindi da cinque anni fa quando ho cominciato ad avere bruciori e dolori localizzati. È una cistite, diagnosticavano i medici a cui mi rivolgevo. Il problema continuava, ginecologi e urologi continuavano a parlare di cistiti ricorrenti, di una persistente condizione infiammatoria. In un anno e mezzo, due di visite e controlli mai che qualcuno pronunciasse il termine “vulvodinia”.
E nel frattempo?
Il dolore andava aumentando, paragonabile a una coltellata all’interno della vagina, intenso, bruciante. Potrei dire praticamente costante; sembrava attenuarsi, sia pur momentaneamente, solo dopo i rapporti che in genere invece risultano così dolorosi per le donne che soffrono di vulvodinia al punto da evitarli.
Le visite continuavano, immaginiamo.
Certo, e da ogni visita scaturiva una diagnosi diversa. Dopo un tampone vaginale per verificare la presenza di malattie sessualmente trasmesse, nonostante tutti i risultati negativi, un ginecologo mi ha prescritto un ciclo di antibiotici; un altro mi ha curata come se avessi un’infezione da candida. Persino a Londra, la mia seconda casa, dove la vulvodinia è riconosciuta per legge come malattia invalidante, nessuno arrivava alla diagnosi.
Per il tuo problema ancora senza nome usavi quindi solo farmaci?
No, a Londra mi sono rivolta a un’osteopata esperta di riabilitazione del pavimento pelvico che, confermando la presenza di un prolasso di primo grado già rilevato da un urologo italiano, mi ha sottoposto a una serie di manipolazioni interne che mi davano un certo sollievo, sia pur temporaneo. Ma che non erano certo la cura definitiva anche perché mancava ancora la diagnosi.
Ci descrivi una condizione davvero molto difficile…
Verissimo, in quel periodo mi sembrava di vedere il mondo solo grigio. Tutti si stupivano che non sapessi l’origine della malattia che mi procurava così tanta sofferenza, che non ci fosse una cura e alla fine avevo deciso di non parlarne più, di non lamentarmi proprio per non affliggere gli altri.
Ma non avevi certo pensato di gettare la spugna…
No, cercavo e cercavo finchè una mia amica, raccogliendo la storia di una ragazza sua conoscente, una storia di vulvodinia correttamente diagnosticata e risolta, mi ha parlato dell’Associazione Italiana Vulvodinia. Mi sono subito rivolta a loro fissando un appuntamento con uno specialista di riferimento che mi ha sottoposto allo swab test, un esame molto semplice e non invasivo che consente di diagnosticare le patologie dell’area genitale femminile. Finalmente la mia malattia aveva il giusto nome: “vestibulodinia o vestibolite vulvare”, una patologia caratterizzata da un dolore concentrato sul vestibolo vaginale.
Così sarà arrivata anche la cura per la vulvodinia?
Certo, il ginecologo mi ha prescritto un protocollo farmacologico studiato sulla mia condizione che mi ha permesso di stare meglio nell’arco di una settimana. Ho continuato, sempre su indicazione dello specialista, ad alternare periodi in cui assumevo i farmaci e periodi in cui li sospendevo e nell’arco di otto mesi, un anno ho visto sparire del tutto la mia sintomatologia dolorosa. Grazie ai farmaci, ovviamente, ma sono sicura che anche la riabilitazione del pavimento pelvico fatta dall’osteopata londinese abbia dato il suo contributo alla risoluzione del problema.
Perché hai deciso di raccontare pubblicamente la tua storia?
Penso che sia importante parlare di vulvodinia: più si porta l’attenzione su questa malattia, più si offrono alle donne, che come me attraversano anni di sofferenze prima di avere una diagnosi e una cura, strumenti per orientarsi nella scelta degli specialisti. E più si parla di vulvodinia, più si “lavora”, sia pur in maniera indiretta, perché questa patologia venga riconosciuta per legge come invalidante.
Perché è così basilare, per te, questo passaggio?
Perché la vulvodinia ha un impatto fortissimo sulla vita delle donne. Non si tratta solo del dolore fisico e morale, ma anche del dispendio economico che la malattia comporta: sono arrivata a spendere più di 500 euro al mese nel lungo periodo di buio che ho attraversato. Ed è giusto che tutte le donne possano seguire un percorso di riabilitazione con il contributo del Sistema Sanitario. Riconoscere la vulvodinia poi, a parer mio, significa anche sostenere i medici in quel processo di studio e aggiornamento necessario ad affrontare una malattia così complessa.
Un ultimo consiglio alle donne…
Perseverare nel cercare risposte ma andare nella giusta direzione che, io sono convinta, è quella che l’Associazione Italiana Vulvodinia sa indicare ad ogni donna, caso per caso. E rivolgo un invito anche ai medici: studiate, informatevi, imparate perché servono professionisti con una preparazione a tutto tondo per affrontare con successo la malattia.