La storia di Carola

vulvodinia scrivereLa storia di Carola, 38 anni, è quella di molte altre donne. Solo che lei, a un certo punto, ha sentito la necessità di scriverla, per dare voce la suo dolore e a quello di tante donne come lei. Ecco cosa ci ha raccontato.

«Quando mi hanno diagnosticato la vulvodinia, dopo anni di visite, esami inutili e sensazioni di essere invisibile al dolore che mi logorava ogni giorno, mi sono sentita sollevata… e disperata allo stesso tempo. Dare un nome al mio dolore non lo rendeva meno presente, ma almeno mi faceva capire che non ero pazza».

Cosa ti è pesato di più nel percorso che ha portato alla diagnosi di vulvodinia?

Sicuramente il dolore costante. Bruciore, fitte, una sensibilità estrema che rendeva difficile anche solo stare seduta o indossare jeans. E poi la sensazione di non essere capita, nemmeno dalle amiche più strette. A un certo punto ho smesso anche di parlarne, era un dolore intimo, che mi isolava, letteralmente. A quante uscite ho rinunciato per paura di stare male o perché avevo una giornata “no”. Ormai ero diventata un tutt’uno con la mia malattia. Io ero i miei sintomi. Inoltre ho avuto diverse difficoltà con i miei partner. I rapporti intimi erano molto complicati e non tutti sono stati in grado di accettarlo. C’è chi ha interpretato questo mio problema come una chiusura o peggio un rifiuto nei suoi confronti. Chi all’inizio si è mostrato comprensivo pensando fosse una condizione passeggera per poi arrendersi.

A cosa ti sei aggrappata per uscirne?

È stato in uno dei momenti più bui che ho iniziato a scrivere. All’inizio solo per sfogarmi: pagine piene di rabbia, di frustrazione, di domande senza risposta. Ma pian piano, scrivere è diventato qualcosa di più. Un modo per dare ordine al caos, per ascoltarmi davvero. Ho cominciato a tenere un diario dei sintomi, ma anche delle emozioni. Ogni giorno, anche solo cinque minuti.

In che modo scrivere ti è stato utile?

Attraverso la scrittura ho capito che non ero solo un corpo che soffre, ma una persona intera, con pensieri, sogni, memorie. Ho iniziato a raccontare la mia storia in forma anonima online, in un forum di una associazione che si occupa di dolore pelvico, e qui ho trovato altre donne come me. Non mi sentivo più sola. Alcune mi hanno ringraziata, dicendo che leggere le mie parole le aveva aiutate a riconoscersi. Ed è stato in quel momento che ho capito: scrivere è la mia àncora ed è anche un supporto per le altre donne. È terapia, resistenza, guarigione. Mettere nero su bianco i miei pensieri li rende visibili e condivisibili.

Continui ad utilizzare questo strumento?

Sì, con questa consapevolezza mi sono spinta persino oltre: ho scritto un romanzo, un thriller-noir, in cui la protagonista è affetta da vulvodinia, ma riesce a fare in modo di non identificarsi con la malattia e a non arrendersi, perché non c’è niente di più potente di una donna che conosce la sofferenza fisica e psicologica. Anna, così si chiama la protagonista del romanzo, rappresenta tutte noi, affette da questa patologia. Abbiamo le nostre inquietudini e fragilità, attraversiamo giornate difficilissime e altre in cui riusciamo a vedere la luce. Per sopportare tutto questo ci vuole una grande forza che, sono certa, tutte possediamo.

Carola, oggi come stai?

Il dolore non è scomparso del tutto, continuo le cure, ma riesco a conviverci meglio. La scrittura mi ha dato una voce, quando tutto il resto cercava di zittirmi. E in quella voce ho trovato una forza che non pensavo di avere e che desidero trasmettere alle altre donne. Anche per questo ho deciso che i proventi del mio libro li devolverò all’associazione che è stata per me un grande aiuto.