Ignorate, incomprese, a volte persino ridicolizzate, accusate di essere esagerate o bugiarde. Le donne che soffrono di vulvodinia vivono tutti i giorni una “battaglia nella battaglia“: quella per il riconoscimento della loro malattia. Uno dei sentimenti più ricorrenti è un forte senso di ingiustizia: uno studio condotto all’Università di Padova ha voluto indagare le ragioni di questo vissuto e dare voce a queste malate invisibili.
Vulvodinia e senso di ingiustizia
«Ho conosciuto per la prima volta il tema della vulvodinia alle riunioni del Padova Sex Lab, il gruppo di ricerca dell’università di Padova che si occupa di sessualità femminile», racconta Irene Casini, psicologa clinica e consulente in sessuologia, che si è laureata con una tesi sperimentale sul dolore genito-pelvico. «Fino ad allora, non avevo mai sentito parlare di questa condizione.
Scoprire che moltissime donne convivono con un dolore genito-pelvico cronico, spesso ignorato o minimizzato dai professionisti, ha suscitato in me un forte senso di ingiustizia. Da sempre sono molto sensibile alle tematiche legate alla discriminazione: sapere che tante donne vengono ignorate, sminuite o non credute mi ha spinta ad approfondire».
Cosa l’ha colpita in particolare? «Le lunghe tempistiche per ricevere una cura, il numero elevato di donne che ne soffrono e il fatto che il problema non sia riconosciuto dal Sistema sanitario nazionale. Questo mi ha spinta a entrare nel progetto di ricerca del Padova Sex Lab sul dolore genito-pelvico e sceglierlo come tesi di laurea. Ho partecipato a un convegno nazionale e svolto numerose ricerche, rendendomi conto della scarsità di letteratura scientifica disponibile.
Con il nostro studio, abbiamo cercato di dare voce a queste donne, coinvolgendone oltre 400 affette da dolore genito-pelvico. Volevamo verificare se, come rivelato da ricerche precedenti, gli individui con dolore cronico che percepiscono ingiustizia per la propria condizione mostrano un peggioramento del dolore, della depressione e del funzionamento sessuale».
Lo studio
Sono state selezionate 415 donne tra i 18 e i 64 anni con dolore pelvico-cronico, a cui sono stati somministrati due questionari. Dall’analisi dei dati emerge che l’invalidazione del dolore influisce in modo importante sul sentimento di ingiustizia percepita. I risultati suggeriscono che percepire ingiustizia può avere diverse conseguenze negative per il benessere psicofisico. «Il senso di ingiustizia è spesso accompagnato da emozioni intense, in particolare la rabbia», spiega la dottoressa.
«La mia ricerca, in linea con la letteratura, evidenzia come tale emozione possa amplificare la percezione del dolore. Diverse donne a me vicine, leggendo la mia tesi o sentendomi parlare dell’argomento, si sono riconosciute nei sintomi descritti. Per molte è stato un primo passo per comprendere che non erano sole e cercare aiuto, con la consapevolezza che esistono professionisti in grado di ascoltarle e sostenerle».
Quattro consigli utili
1. Affidarsi a professionisti competenti. «Il primo consiglio che mi sento di dare è evitare il fai-da-te, che può essere pericoloso e controproducente, ma scegliere una rete di professionisti formati e preparati: ginecologi, esperti in dolore pelvico, fisioterapisti specializzati nella riabilitazione del pavimento pelvico, psicologi o psicoterapeuti e sessuologi.
In media una donna impiega più di quattro anni, consultando almeno tre specialisti, prima di ricevere una diagnosi. Questo percorso può avere un impatto fortemente negativo sull’umore, l’autostima e la qualità di vita sessuale. All’Azienda Ospedale-Università di Padova, per esempio, è stato recentemente inaugurato un ambulatorio dedicato alla vulvodinia, che garantisce un approccio multidisciplinare».
2. Valutare l’opportunità di un percorso di psicoterapia. «In psicoterapia, è possibile lavorare sulle strategie utili per riconoscere e regolare la rabbia, insieme a tecniche di gestione dello stress e delle emozioni».
3. Non sottovalutare i risvolti intimi del problema. «Molte donne con dolore genito-pelvico riportano difficoltà nella sfera sessuale, tra cui scarsa lubrificazione e insoddisfazione. Abbiamo riscontrato un’associazione tra ingiustizia percepita e disagio sessuale: sentirsi ignorate o non credute può compromettere anche la qualità della vita intima. Un percorso di terapia sessuale può aiutare ad affrontare questi vissuti, anche attraverso esercizi mirati.
La terapia prevede il coinvolgimento del partner, quando presente, e questo è spesso utile per far comprendere al/alla partner quello che una malata vulvodinica prova, così da ridurre il senso di ingiustizia, perché finalmente compresa da chi le sta più vicino. Ricostruire una sessualità condivisa, empatica e soddisfacente per entrambi ha proprio l’obiettivo di ridurre il senso di frustrazione e ingiustizia».
4. Non isolarsi. «Infine», conclude Casini, «incoraggio le donne a parlare apertamente della propria esperienza, superando i tabù legati alla sessualità e al dolore. Condividere il proprio vissuto può aiutare altre donne a riconoscersi e a sentirsi meno sole. Può essere un’idea creare un gruppo di supporto reciproco per donne che stanno affrontando le stesse difficoltà, così da condividere nomi di specialisti competenti e consigli pratici su come gestire dolore nella vita di tutti i giorni».