Nella mente di una donna con vulvodinia: pensieri negativi che peggiorano la malattia

“Sono una donna a metà”. “Odio il mio corpo e il sesso”. “Non starò mai bene”. I pensieri negativi e le convinzioni errate che affollano la mente di una donna che soffre di vulvodinia sono tanti e, se insistenti e ricorrenti, possono condizionare fortemente il proprio benessere psichico, fino a sfociare, in alcuni casi, in disturbi come ansia e depressione.

I pensieri negativi su di sé

«Si tratta di pensieri disfunzionali legati alla vulvodinia che si possono raggruppare in tre grandi categorie», spiega Tiziana Carmellini, psicologa e psicoterapeuta cognitivo- comportamentale, esperta in sessuologia clinica.
«Il primo gruppo comprende pensieri che riflettono intensi vissuti di inadeguatezza personale, come la paura di non essere all’altezza e/o la convinzione di avere dei deficit di funzionamento corporeo e/o anatomici. Queste convinzioni disfunzionali riguardano, dunque, la propria identità femminile e possono essere, per esempio, “Sono nata difettosa”, oppure “Come donna non valgo nulla”, o ancora “Rimarrò da sola per sempre”».

Le preoccupazioni sulla sfera intima e sessuale

Poi ci sono i costrutti mentali riguardanti la sessualità e la vita di coppia. Alcune convinzioni possono portare alla rinuncia dell’intimità, a causa della vulvodinia, e alla mancata scoperta ed esplorazione del proprio piacere.
«I pensieri più ricorrenti», elenca la dottoressa, «possono essere: “Non riuscirò mai ad avere una vita sessuale normale”; “Il sesso è un incubo”, “Non diventerò mai madre”. O ancora: “È impossibile provare piacere”; “Odio i miei genitali”; “Se non esistesse il sesso sarebbe meglio” e, infine, “Troverà un’altra perché io non riesco a dargli ciò che desidera”».

La mancanza di speranza

Infine, prosegue, «alcune donne esprimono assenza di speranza rispetto alla possibilità di stare meglio e/o la convinzione, impotente, di restare per sempre in una situazione di disagio: “Non guarirò”, “Cosa ho che non va?”, “Non ho speranze”». Non è facile liberarsi di questi vissuti interiori, che non fanno altro che amplificare paure e angosce, ma la dottoressa fornisce tre suggerimenti per cominciare a ribaltare la propria “narrazione” di malattia, sostituendo questi pensieri autosabotanti in costrutti mentali propositivi e, infine, in azione concrete di cambiamento.

Primo consiglio: distinguere i pensieri negativi dai fatti

«I pensieri sono solo pensieri e i fatti non sono la rappresentazione dei nostri pensieri», spiega la psicologa. «In altre parole, non tutto ciò ci passa per la mente, si realizza nella nostra vita. Tuttavia, i pensieri hanno il potere di condizionare significativamente il modo in cui affrontiamo la realtà che ci troviamo a vivere e come ci atteggiamo nei suoi confronti, compresi i nostri vissuti emotivi. Dobbiamo ricordare che le convinzioni irrazionali, che abbiamo appena elencato, possono compromettere il decorso e la gestione di una condizione clinica invalidante come la vulvodinia che, in questo caso, rappresenta un fatto.

Come sottolineato da alcune ricerche, mettere in atto comportamenti coerenti con le nostre credenze irrazionali (per esempio nascondere il nostro corpo perché non ci piace, non uscire più per evitare situazioni sociali e relazioni potenzialmente dolorose per noi, non fare nulla per cercare di stare meglio e di non provare dolore, oppure non chiedere aiuto) è altamente disfunzionale. Questo infatti influenza negativamente la percezione di noi stesse, delle nostre possibilità di cambiamento e della compliance (aderenza) al trattamento».

Secondo consiglio: accettare le proprie emozioni

È importante rispettare le proprie emozioni e non giudicarsi “sbagliate” se ci si sente frustrate, tristi e/o arrabbiate. «Accogliere e rispettare le emozioni di sofferenza legate alla presenza di vulvodinia non vuol dire alimentare il dolore, né dare conferma ai pensieri nella nostra testa», afferma la specialista. «Non giudicare il proprio disagio permette di aprire la strada verso una possibilità di cambiamento che passa attraverso la comprensione della sofferenza, la messa in discussione di ciò che non è realistico e l’attuazione di comportamenti funzionali alle prospettive di cambiamento».

Terzo consiglio: rivolgersi a esperti

Passiamo all’azione. Una volta compreso che i pensieri non corrispondono ai fatti e che le emozioni negative sono normali e vanno accolte e accettate, è il momento di aprirsi al cambiamento. «Nel momento in cui si vive una situazione di disagio fisico ed emotivo, è fondamentale affidarsi a mani esperte che diano informazioni corrette rispetto a ciò che si sta vivendo e a veritiere prospettive di cura», conclude Carmellini.

«Avere informazioni realistiche, non generalizzanti, catastrofiche o di sfiducia, ci permette di canalizzare meglio le nostre energie verso il fronteggiamento delle situazioni più problematiche. Accanto agli specialisti dedicati come il ginecologo, può essere benefico dunque rivolgersi anche a un esperto in psicoterapia per iniziare un percorso di supporto e arrivare, piano piano, a scardinare i pensieri negativi e le convinzioni errate/disfunzionali che ci conducono in situazioni di impasse».