Vulvodinia e vescica dolorosa: cosa fare quando sono associate?

La vulvodinia può essere isolata o manifestarsi in comorbilità (cioè in associazione) con altre condizioni mediche. Una di queste è la sindrome della vescica dolorosa, una patologia complessa e invalidante, che può arrivare a compromettere le funzioni vescicali, oltre a determinare un dolore che dalla vescica si estende agli organi vicini.

Come si riconosce la sindrome della vescica dolorosa

È importante innanzitutto distinguere la vescica dolorosa dalla sindrome della vescica iperattiva. Quest’ultima è caratterizzata da un’eccessiva contrazione del muscolo detrusore ed è quindi un tipico fenomeno motorio caratterizzato da “urgenza”, cioè da un bisogno impellente di urinare. La sindrome del dolore vescicale o della vescica dolorosa (Bladder Pain Syndrome, BPS, o Painful Bladder Syndrome, PBS) è invece un disturbo sensoriale, contraddistinto da dolore, disagio e senso di pesantezza sovrapubica che si attenuano solo con la minzione. In pratica i sintomi aumentano con il progressivo riempimento vescicale, per cui chi ne soffre, per trovare sollievo, decide di assecondare precocemente lo stimolo, anticipando la minzione.

È una condizione diversa, dunque, dall’urgenza minzionale propria della vescica iperattiva, ma come quest’ultima, determina importanti modifiche comportamentali (quale, per esempio, la limitazione degli spostamenti in base alla disponibilità di servizi igienici) che hanno un forte impatto sulla qualità della vita. Si definisce poi cistite interstiziale la conferma istologica della BPS, sulla base del conteggio dei mastociti tramite cistoscopia e biopsia: la presenza di almeno 28 mastociti conferma la diagnosi.

Vulvodinia e vescica dolorosa: quale legame?

«Le stime ufficiali dicono che la vulvodinia colpisce il 15% della popolazione femminile ma, considerando molti casi sottostimati, si presume si possa arrivare al 30-40% di incidenza, specialmente in alcune fasce di età. Il 15-20% circa delle vulvodinie può manifestarsi poi con sintomi che coinvolgono anche la vescica», spiega Monica Costantini, ginecologa.

«Ad accomunare vulvodinia e sindrome della vescica dolorosa è la via comune del dolore neuropatico che, partendo da afferenze recettoriali diverse (vulva e vescica) si integra nel primo motoneurone e da li prende la via del fascio spinotalamico fino a giungere nel talamo dove determina la stessa contrattura di difesa che induce poi ipertono.

Il meccanismo patogenetico della cistite interstiziale risiede in un difettoso funzionamento dell’urotelio che funge da barriera protettiva. Ciò determina, in presenza di un’aggressione patogena, per esempio un infezione da Escherichia coli, un danno alle giunzioni tra 2 o più celllule che permette ilo passaggio di sostanze irritanti contenute nell’urina (batteri, microcristalli, proteine, tossine), nella zona sottostante quella sottomucosale inducendo uno stato infiammatorio cronico che richiama mastociti.

Nelle forme più gravi di cistite interstiziale si formano delle vere e proprie ulcere o glomerulazioni visibili in cistoscopia solo dopo idrodistensione la cui biopsia permette di rendere evidente l’infiltrato mastocitario.

I mastociti liberano una grande quantità di mediatori chimici ad attività pro-infiammatoria, come citochine, enzimi, neuropeptidi, che scatenano una cascata di eventi infiammatori non solo a livello periferico, ma anche centrale, con attivazione delle cellule della microglia (cellule del sistema nervoso centrale ad azione difensiva).

Questo comporta un’iperalgesia e allodinia che sono comuni anche alla vulvodinia. Un esempio è proprio il sintomo principale della vescica dolorosa: il dolore correlato al riempimento dell’organo. Un modesto quantitativo di urina in vescica, che in condizioni normali sarebbe letto dalla corteccia cerebrale come una sensazione “normale“, non fastidiosa, in questa condizione provoca la comparsa di dolore, peso e discomfort, che si intensifica e peggiora mano a mano che la vescica si riempie».

Vulvodinia e vescica dolorosa: diagnosi e terapia

«In presenza di una vulvodinia con sintomi che coinvolgono anche la vescica, è importante innanzitutto escludere la presenza di un’infezione urinaria, eseguendo un’urinocultura e, se necessario, somministrando una cura antibiotica», spiega la dottoressa Costantini. «Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le donne con questi sintomi non presentano una cistite batterica.

In secondo luogo, si pianifica un protocollo terapeutico che può includere, come avviene per la vulvodinia, diversi presidi, come farmaci, metodiche di riabilitazione della muscolatura del pavimento pelvico, TENS ed eventualmente integratori che vanno a ricostituire l’integrità della mucosa vulvare e vescicale e hanno un’azione antinfiammatoria.

Per esempio l’acido alfa-lipoico agisce sia a livello periferico che centrale: modula le citochine infiammatorie, riduce la concentrazione di mastociti e ne inibisce l’attivazione». Secondo uno studio uscito su Journal of Obstetrics and Gynaecology Canada, l’acido alfa-lipoico assunto per almeno due mesi al dosaggio di 600 mg al giorno, ha evidenti benefici sul dolore, sulla dispareunia e sull’ipertono. Può essere associato a Omega 3 per un’azione rinforzata.

«Studi scientifici hanno dimostrato inoltre come l’assunzione per bocca di un preparato a base di acido ialuronico e condroitinsolfato sia in grado di ristabilire l’urotelio di rivestimento e spegnere i processi infiammatori, migliorando il trofismo vaginale», prosegue Costantini. «Questi agenti possono anche essere instillati direttamente in vescica: il trattamento dura circa sei mesi e i benefici sembrano mantenersi a lungo, ma questo tipo di formulazione non sempre è ben accetta dalle donne. Sono fondamentali in tutti i casi un approccio multispecialistico e un trattamento su più fronti, che richiede tempo e perseveranza».

La prevenzione

«Vulvodinia e vescica dolorosa sono patologie che spesso non vengono individuate al loro esordio e quindi con il tempo cronicizzano», conclude la dottoressa. Risulta fondamentale identificare i soggetti sani a rischio, tenendo anche in considerazione quelle patologie benigne, come l’endometriosi pelvica e le cistiti batteriche ricorrenti, che spesso si ritrovano nella storia pregressa di donne con questa sindrome. L’obiettivo è abbattere il muro dei sette anni che oggi, mediamente, trascorrono dall’inizio dei sintomi al momento della diagnosi.